Lungo l’ Appia Antica

Questo sabato 06 aprile 2019, il fato ci ha come traghettato nella brezza primaverile della campagna romana.
Arrivati baldanzosi dalle parti di Ciampino, l’amico Gianfranco ci aspetta con il suo sorriso di vita e di umanità.

Oggi, vagheremo alla ricerca della Via Appia che da sempre ha saputo accogliere viandanti pellegrini provenienti da ogni dove .
L’obiettivo, anche se inconsapevole, è quello di ripercorrere l’essenza antica di un’ebbrezza fatta di bellezza e di tanto altro. Da sempre una dimensione onirica fa trasalire colui o colei che, per varie ragioni, si è messo in cammino per raggiungere a piedi, l’Urbe, magnifica capitale dell’Impero Romano d’Oriente e d’Occidente.

Viene subito da domandarsi cosa voglia dire compiere oggi un’esperienza simile;“ ma dove pensano di andar questi sognatori “troubadours”? Non vanno ad incunearsi nel caos del traffico e del “bruttume” di questa grande metropoli?” . Certamente questo pensiero ha un suo fondo di verità. Basta vedere l’immondizia diffusa, qua e là, e la mancanza di rispetto presente un pò ovunque; sacchi di plastica, cicche e sporcizia varia viene stranamente trasportata da questo vorace e “stralunato” modo di vivere il nostro tempo, fatto di singolarità e monadismo intellettuale teso a raggiungere l’isolamento interiore.

La Roma,che oggi vedremo e calpesteremo, è sicuramente molto diversa rispetto a quella che conoscevano gli antichi. Nello stesso tempo, incamminandoci con la dovuta lentezza in quella congerie di “basolati e Sanpietrini ”, l’entrata nella città rimane, a modo suo, ancora oggi sorprendente ed affascinante. Poi, non è da sottovalutare il fatto che si possa toccare con mano, comprendere, malgrado tutto, ed immedesimarci fra quelle distanti atmosfere.

Basta saper guardarsi intorno, soffermarsi un attimo e vedere “oltre” sino a traguardare ciò che il passato ha voluto tramandarci ed anche intravedere quegli sparuti accenni di orizzonte futuro che si palesano in lontananza.
È sicuramente un viaggiare errabondo , ad istigare la fantasia quando rimaniamo lì circondati da numerose testimonianze funerarie e dalla ricchezza evocativa di numerosi siti archeologici.
Ancora oggi, questa arteria di comunicazione ha un suo fascino ed importanza perché è in grado di raccontarci l’immensità del passato vissuto in questi luoghi. E sapete? È proprio nel superare questi pochi virgulti di miglio romano, rispetto alla distanza siderale che ci separa da Brindisi, che si riesce a percepire questo senso di vicinanza ed appartenenza. Poter osservare, infatti, vestigia antiche e numerose testimonianze culturali riescono nell’intento: Villa Quintili, il mausoleo di Cecilia Metella, la Villa di Massenzio ed altri esempi arricchiscono, qua e là lungo la via, la nostra esperienza sensoriale ed emotiva.


Nell’antichità il Miglio Romano era calibrato su di una unità di misura dettata dalla distanza percorsa da mille passi e valevano 1480 metri; oggi viene da chiedersi quale sarebbe l’ Unità di misura maggiormente rappresentativa per questo nostro tempo un pò bislacco? Questo dilemma può intrigare ma lo lasciamo a coloro che vogliono approfondirne l’essenza.


A noi interessa invece segnalare la presenza in questi luoghi di uno spazio denominato “ Villa “Capo di Bove” che ritroviamo al n^. 222 della Via Appia antica.

Nel 2002 il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT) ha acquistato questo edificio da un privato esercitando il diritto di prelazione. Una mossa intelligente perché ha messo a disposizione del pubblico un’area di circa 8600 mq. dislocata al IV miglio della Via Appia antica ed a circa 450 metri dal mausoleo di Cecilia Metella.
La proprietà comprende un giardino, un edificio principale su tre livelli ed una “dépendance”. Appena si entra si intravedono i resti di un impianto termale e di alcuni mosaici risalenti al secondo secolo dopo Cristo.
L’edificio principale , censito nel catasto Pio Gregoriano (1816-1835) come “casa ad uso della vigna” sancisce l’evoluzione in fabbricato rurale del sito intorno all’Alto Medioevo. Ciò che preme segnalare in tutto ciò,al di là della bellezza intima del luogo, sono due cose. In questo luogo si è materializzata l’operazione virtuosa di riappropriazione di un bene di valore “storico” e là viene custodito l’archivio di Antonio Cederna , archeologo, giornalista ed ambientalista che si è battuto per la tutela dell’Appia e che ha dedicato la sua vita all’impegno per la difesa del patrimonio storico artistico e paesaggistico del nostro paese e che ha lottato strenuamente contro i soprusi dello scempio edilizio di Roma.

Poi, Gianfranco ci fa notare la presenza all’interno di una vetrina di due tubi di piombo. Ci racconta che al loro interno erano conservate lettere ed altri documenti che raccontano di una storia d’amore appassionata ed infelice che l’amante disperato volle salvaguardare e destinare al futuro, seppellendone i ricordi ai piedi di un monumento funerario fra i più belli della “Regina viarum”, il cosiddetto sepolcro dorico. Su entrambi i tubi erano incise una data, 29 settembre 1939, e quattro iniziali U.H e L.L. Al loro interno si racconta di un amore nato sul posto di lavoro tra Ugo H., sposato, e Letizia L., nubile e più giovane di lui.

I due si scrivono per tre anni fino a quando capiscono che tutto quello che avevano vissuto doveva finire.” Tu dici che sapresti sopportare anche questo sacrificio, ma lo dici per amore, sperando di rendermi la pace con lo starmi lontana”. Era un amore impossibile per quei tempi che Ugo, però, volle salvaguardare.Ugo chiede a Letizia tutte le lettere perché erano troppo compromettenti per essere conservate in un cassetto. Ma non le distrusse e le mise in una capsula del tempo; le sotterrò in una parte di Roma allora irraggiungibile. L’impatto è forte e si coniuga bene con l’esperienza autentica vissuta sino ad ora lungo questo tratto della Via Appia antica.

Dopo la camminata prosegue addentrandoci nella città e l’atmosfera cambia. Sarà per il dedalo infinito di monumenti immersi nel caos del traffico, sarà per la calca umana incontrata dalle parti di Campo dei fiori, di Piazza Navona o del Pantheon.


Questa parte di cammino alla fine ci entusiasma di meno. Fortuna quella sosta dalle parti delle Terme di Caracalla, vicino al Circo Massimo. Là abbiamo potuto apprezzare la meraviglia gustativa di una porchetta di Ariccia, appena sfornata che Gianfranco si era portato nello zaino insieme a mozzarelle e melanzane, sapientemente preparate.


Bene, anche oggi possiamo dire che il nostro tempo è stato speso bene!

La Louisona Travel Kassejjò è riuscita a sorprendere ancora.

La cornice casuale ed errabonda del suo dimenarsi sa costruire la consapevolezza di questa nostra piccola comunità viaggiante.
Un Grazie particolare va ovviamente a Gianfranco ed al suo tratto di simpatia, di gentilezza “romanesca” dall’ “allure” canzonatoria e ridente.

Lascia un commento